Salviamo la facciata
Era stata una facile previsione, ma quella testa dura di Salvatore non aveva voluto darmi ascolto.
Conosco bene la delicatezza di un palazzo in costruzione: quando non cresce con le dovute attenzioni, in futuro potrà presentare delle crepe, più o meno gravi.
Non importa lo stile adottato per la facciata; può essere liberty o barocco, organico o puramente anonimo come gli squallidi edifici della periferia.
Bisogna stare sempre attenti alla loro funzionalità: niente formalismi eccessivi e cercare di renderli adeguati ed in accordo ad una Natura così complessa.
E dunque c’era da aspettarselo dopo un inverno così rigido.
Quando la pioggia bagna ripetutamente i muri esterni non protetti, l’acqua penetra nell’intonaco che si degrada a poco a poco.
L’avevo detto a Salvatore che ci voleva un po’ di pazienza. C’erano le tramezzature interne da ultimare, ed altri lavori necessari per rendere l’intera struttura efficiente.
Non bisogna mai avere fretta, si rischia di pregiudicare tutto il lavoro fatto.
Bene, abbiamo voluto i mattoni a vista; però sapevamo che sono pieni d’interstizi e la pioggia può così insinuarsi provocando nel tempo danni irreparabili. Bastava aspettare la primavera, e proteggere la facciata con quei prodotti isolanti che non fanno filtrare l’acqua.
Adesso il fabbricato sarà “freddo” e si farà fatica a riscaldarlo, e ci aspetta un altro inverno duro da sopportare.
Le pianificazioni servono ad individuare un percorso, ma non devono essere mai rigide; ci possono essere degli aggiustamenti in corso d’opera. E la mano dell’uomo si deve fare guidare dalla fantasia, dall’anima se possibile.
Anche le strutture che sembrano più rigide, più forti e dunque più impermeabili alle intemperie, hanno bisogno di particolari attenzioni.
Adesso qualche mattone presenta già delle lesioni, alcune più visibili, altre meno. E forse non basterà neppure la prossima primavera a salvare la facciata, ormai il danno è fatto.
“Ingegnè, salviamo la facciata” dice mestamente Salvatore.
Bevo il mio caffè caldo, accendo la mia marlboro morbida e mi scappa un sorriso.
“Ok Salvatore, proviamoci almeno”.
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